di Enzo Adamo
(...) dalla fuga della ricerca sperimentale degli "Archetipi Negativi", il passaggio ad una essenzialità in bianco e nero di linee e volumi è declinato mediante l'evocazione dei luoghi della storia propria e collettiva. L'abbandono di un disegno geometrico ricco e policromo a favore della naturalità povera di soggetti reali segna il tributo pagato alla propria terra e al proprio villaggio. Dal mito intellettuale e suggestivo di una preistoria senza tempo, al mito, di contrastanti emozioni, di una Gibellina che rivive nei propri luoghi, la storia degli individui e del suo popolo. Un vero e proprio ritorno alle "madri" in una dimensione metafisica per l'essenzialità di un racconto privo di enfasi, neutro. Le scarne presenze umane, statiche sagome nere di mantelle e tabarri, nulla aggiungono se non la propria astratta e allucinata condizione munchiana. L'azione drammatica è tutta dalla parte del fruitore. Il tuffo al cuore apre una parentesi nel fluire insensato del mondo, muove verso una ricerca del tempo perduto, ricompone i frammenti di una storia dimenticata, fa il bilancio tra gli scomparsi ed i superstiti. Affiorano ricordi che l'incerta collocazione spazio-temporale rende laceranti come lame, sull'oblio di anni interi una memoria involontaria dilata invece episodi insignificanti della propria esistenza. Case, vie e immagini concorrono ad una discesa verso la madre, verso un grembo dal richiamo irresistibile, fatto di muri e pietre abitate da un Dio, da uno Spirito nascosto.
"La vita è straordinariamente corta. Nel mio ricordo essa si restringe a tale brevità, che io per esempio non comprendo come giovane possa decidersi a cavalcare fino al vicino villaggio senza temere che - a parte qualche disgraziato accidente - lo spazio di una vita comune felicemente scorrente sia infinitamente troppo breve per una simile cavalcata". F. Kafka
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